Una
delle domande più frequenti (se non la più
frequente) che un paziente pone al Cardiologo
quando questi gli dice che le sue arterie
sono “incrostate” (per usare un termine alla
portata di tutti) di placche aterosclerotiche
è la seguente: ”C’è qualche modo per ridurle
od eliminarle (senza bisogno di ricorrere al
Chirurgo, a meno che non ce ne siano le
indicazioni)?”. In molti casi la risposta è
“Sì: con le Statine” (che comunque vanno
assunte comunque, in caso di aterosclerosi –
salvo controindicazioni od intolleranza alle
stesse-, anche nei casi in cui la riduzione o
regressione farmacologica delle placche sia
molto improbabile od impossibile). La Statine
sono uno dei maggiori gruppi di farmaci che
hanno rivoluzionato positivamente la Medicina
(come ad esempio Penicillina, Aspirina,
Beta-bloccanti, Diuretici e così via). Esse
agiscono fondamentalmente in due modi:
inibendo la sintesi di Colesterolo a livello
epatico e, direttamente sulla placca,
“stabilizzandola”, cioè riducendo le
probabilità che essa divenga “instabile”
(cioè che si fissuri, laceri o rompa,
portando così a trombosi della coronaria con
tutte le conseguenze possibili ad esse
connesse –angina pectoris, infarto
miocardico, aritmia, scompenso cardiaco,
morte improvvisa).
Quest’ultima azione di stabilizzazione della
placca è indipendente dai livelli di
colesterolemia, per cui il paziente portatore
di placche aterosclerotiche coronariche deve
rendersi conto che la Statina va continuata
anche dopo la –sperabile- normalizzazione dei
valori di Colesterolemia, in quanto il suo
effetto protettivo sui fenomeni ischemici
(ischemia= ridotto apporto di sangue-ossigeno
al muscolo cardiaco) si esplica anche
attraverso la “stabilizzazione” della placca
di cui sopra. Ma gli effetti positivi delle
Statine non si limitano solo alla riduzione
della colesterolemia (in particolare del
colesterolo “cattivo”, cioè delle LDL) ed
alla stabilizzazione delle placche: in molti
casi esse possono determinare anche una
riduzione della “massa” della placca od
addirittura una sua regressione; ciò si
verifica più facilmente se le placche sono
“giovani”, cioè di abbastanza recente
formazione e non calcifiche (le placche
“vecchie” e calcificate sono più
difficilmente riducibili). L’insieme di
questi effetti benefici delle Statine
giustifica come esse abbiano
significativamente ridotto l’incidenza di
malattie cardiovascolari ischemiche. Poichè
nella formazione della placca aterosclerotica
influiscono diversi fattori (lesione
dell’endotelio vascolare, infiltrazione di
colesterolo LDL, infiammazione,
proliferazione di cellule muscolari liscie
della parete arteriose e di Collagene), il
fatto che le Statine agiscano beneficamente
su tutti questi fattori negativi giustifica
il loro impatto positivo sull’incidenza e
l’evoluzione delle malattie cardiovascolari
ischemiche. Molti Studi hanno dimostrato la
capacità delle Statine sia di stabilizzare le
placche aterosclerotiche rallentandone la
crescita e riducendo le probabilità di una
loro instabilizzazione, sia di ridurne la
massa che, in alcuni casi, di farle
regredire. Per molti anni l’unico metodo di
studiare direttamente le coronarie è stata la
coronarografia, che peraltro è una
“luminografia”, cioè consente di vedere solo
il lume interno delle coronarie e non
permette di studiare la parete nelle stesse
nè composizione- struttura- volume delle
placche aterosclerotiche parietali.
L’unica
alternativa erano gli studi
anatomo-istopatologici, effettuati su
frammenti di coronarie prelevate
chirurgicamente od all’autopsia. Comunque,
anche con coronarografia è stata dimostrata
la capacità delle Statine di ridurre il grado
di stenosi (= restringimento del vaso)
determinato dalle placche aterosclerotiche.
L’Angioscopia coronarica ha consentito di
studiare la fisiopatologia delle sindromi
coronariche acute, permettendo lo studio
dell’endotelio e delle componenti
superficiali della placca aterosclerotica, la
visualizzazione di eventuali ulcerazioni
della stessa e di trombosi sovrapposta.
Inoltre, le placche con più alto rischio di
rottura appaiono gialle e translucide; è
verosimile che il colore giallo sia dovuto
alla presenza e quantità di grassi
all’interno della placca e che l’aspetto
translucido sia dovuto alla sottigliezza
della placca fibrosa che riveste la placca
(quanto più e sottile, tanto più facilmente
si può fissuare-lacerare-rompere). La tecnica
angioscopica ha peraltro diversi limiti, sia
tecnici che anche di studio morfologico
(permette solo di studiare le componenti
superficiali della placca e non consente di
effettuare un’analisi quantitativa della
stessa), che ne hanno frenato l’utilizzo in
forma diffusa. L’introduzione nella
diagnostica degli Ultrasuoni Intravascolari
(IVUS) ha permesso di studiare meglio con
Ultrasuoni dall’interno del vaso le placche,
dimostrando anche che vi possono essere
placche diffuse e coinvolgenti lunghi
segmenti del vaso, non evidenti o solo
scarsamente evidenti alla coronarografia in
quanto scarsamente o per nulla “sporgenti”
all’interno del vaso (molti cosiddetti
“Infarti a coronarie normali” sono in realtà
infarti in cui la coronarografia tradizionale
non è stata in grado di “vedere” la placca
parietale coronarica che ha poi determinato
l’infarto).
Con
l’IVUS, oltre alla caratterizzazione
qualitativa delle placche, si può studiare
anche il loro volume e, attraverso studi
seriati, si può studiare l’effetto delle
Statine sia sulla composizione delle placche
che sul loro volume. Recentemente è stata
introdotta una nuova tecnica ancor più
sofisticata e precisa dell’IVUS, l’OCT
(Optical Coherence Tomography, Tomografia a
Coerenza Ottica) intracoronarica; si tratta
di una tecnica che genera immagini ad alta
risoluzione delle lesioni coronariche,
basandosi sull’utilizzo di un fascio di luce
e sulla riflessione della stessa da parte
delle superfici che vengono incontrate. Con
questa tecnica si ottiene un miglioramento
della risoluzione delle immagini, rispetto
all’IVUS, notevole. L’OCT permette sia di
studiare strutture molto piccole (non
valutabili con l’IVUS) sia di ottenere una
miglior caratterizzazione tissutale della
composizione della placca (ateroma
lipidico-cioè parte “grassa” della placca-,
componente infiammatoria, capsula fibrosa che
riveste la placca ed eventuali sue
lacerazioni-fissurazioni, eventuali trombi
sovrapposti e così via). Possono essere
effettuati calcoli precisi per determinare il
volume della placca, lo spessore della placca
fibrosa che riveste la placca (quanto più
spessa è tanto più stabile è la placca) ed il
volume della componente lipidica. La tecnica
OCT presenta anch’essa, peraltro, dei limiti,
che si spera col passare del tempo vengano
superati; essa inoltre non è ancora diffusa
su larga scala. Un’altra metodica di studio
delle placche è l’AngioTAC coronarica
multistrato, molto sensibile
nell’identificare le placche coronariche,
meno precisa peraltro (almeno allo stato
attuale ) di coronarografia ed IVUS nella
quantificazione delle stesse; per una più
dettagliata descrizione delle potenzialità di
tale metodica, vedi “Limiti della
Coronarografia”).
Un dato su cui concordano gli Studi
effettuati è che, se si vogliono aumentare le
probabilità di ridurre il pool lipidico ed il
volume della placca o comunque di
stabilizzarla e di ridurre gli eventi
cardiovascolari, bisogna intervenire il più
precocemente possibile e con elevate dosi di
Statine, o comunque con la massima dose
tollerata dal paziente, cioè la terapia deve
essere il più aggressiva possibile. Tanto più
le placche sono ricche di lipidi
(Colesterolo), tanto più è probabile che una
terapia intensiva con Statine riduca il
volume della massa lipidica e quindi della
placca. Inoltre, sì è visto che la terapia
aggressiva con Statine produce effetti
benefici anche sull’aterosclerosi carotidea,
oltre che su quella coronarica, per cui oltre
a proteggere il cuore protegge anche il
cervello. Su quali componenti della placca
agiscono le Statine riducendole? Su quasi
tutte salvo il Calcio. In primo luogo, sulla
componente lipidica; poi anche sull’accumulo
di cellule muscolari liscie (parte muscolare
da proliferazione-effetto antiproliferativo
delle Statine) e di Collagene (parte fibrosa
della placca). Infine, dato il loro effetto
antiinfiammatorio (riduzione della migrazione
di cellule infiammatorie nella placca, del
rilascio di sostanze ad azione
infiammatoria-citotossica e dell’edema) le
Statine riducono anche la componente
infiammatoria della placca (e ciò ha una
rilevante importanza sulla riduzione della
“vulnerabilità” della stessa, cioè sulla
suscettibilità della placca a rompersi). Se
la placca è di vecchia data, molto fibrosa
e/o calcifica, è molto più difficile od
impossibile che la Statina riesca a ridurne
il volume. Le placche più pericolose (cioè
quelle a più alto contenuto lipidico, con
aree necrotico-emorragiche al loro interno e
con capsula sottile) spesso alla
coronarografia non si vedono o vengono
giudicate non significative o lievi, in
quanto sporgono poco all’interno del lume
coronarico e tendono ad espandersi nella
parete dell’arteria, cioè verso l’esterno
(fenomeno del “rimodellamento positivo”
dell’arteria), per cui sono meglio
visualizzabili all’Angio-TAC,
all’Angioscopia, all’IVUS od all’OCT che non
alla coronarografia (vedi “Limiti della
Coronarografia”). La maggior parte degli
infarti miocardici si verifica proprio su
placche che alla coronagrafia non risultano
“critiche”, cioè non determinano stenosi
rilevanti del lume dell’arteria. In altre
parole, non è solo il grado di restringimento
(stenosi) del lume coronarico che determina
la pericolosità o meno di una placca, ma
anche la sua composizione e massa.
2/12/2011
Bibliografia
-
SATURN (AHA 2011)(Congresso
American Heart Association 2011): Study of
Coronary Atheroma by Intravascular
Ultrasound: Effect of Rosuvastatin Versus
Atorvastatin.
-
Prati F., Manzoli A., Imola
F.: La placca vulnerabile. Emodinamica
2003,34; 15-23.
-
Kodama K. Et al.:
Stabilization and regression of coronary
claque treated with pitavastatin proven by
angioscopy and intravascular ultrasound –
the TOGETHAR trial. Circ. J. 2010
Sep;74(9): 1922-28
-
Okkels Jensen L. et al.:
Regression of Coronary Atherosclerosis by
Simvastatin: A Serial Intravascular
Ultrasound Study. Circulation 2004,
110:265-270.
-
Otagiri K. et al.: Early
Intervention With Rosuvastatin Decreases
the Lipid Components of the Plaque in Acute
Coronary Syndrome. Analysis Using
Integrated Backscatter IVUS (ELAN Study).
Circ. J. 2011; 75: 633-641
-
Clementi F. et al.:
Regression and shift in composition of
coronary atherosclerotic plaques by
pioglitazone: insight from an intravascular
ultrasound analysis. J. Cardiovasc. Med.
2009 Mar; 10 (3):231-7.
-
Tschoepe D., Stratmann B.:
Plaque stability and plaque regression: new
insights. Eur. Heart J. Suppl. (October
2006) 8 (Suppl. F): F 34-39
-
Lima J. et al.:
Statin-Induced Cholesterol Lowering and
Plaque Regression After 6 Months of
Magnetic Resonance Imaging-Monitored
Therapy. Circulation 2004, 110:2336-2341
-
Nasu K. et al.: Effect of
Fluvastatin on progression of coronary
atherosclerotic plaque evaluated by virtual
histology intravascular ultrasound. JACC
Cardiovasc. Interv. 2009 Jul; 2(7): 689-96
-
Sipahi I. et al.: Coronary
atherosclerosis can regress with very
intensive statin therapy. Interpreting the
ASTEROID trial. Cleveland Clinic Journal of
Medicine, Vol. 73, n° 10, Oct. 2006,
937-944.
-
Nicholls S.J. et al.:
Coronary Artery Calcification and Changes
in Atheroma Burden In Response to
Established Medical Therapies. J.A.C.C.
2007;49: 263-270
-
Klein L.W.: Atherosclerosis
Regression, Vascular Remodeling, and Plaque
Stabilization. J.A.C.C. 2007, 49: 271-273.
-
Okazaki S. et al.: Early
Statin treatment in patients with acute
coronary syndrome. Demonstration of the
beneficial effect on atherosclerotic
lesions by serial volumetric intravascular
ultrasound analysis during half a year
after coronary event: the ESTABLISH study.
Circulation 2004: 110:1061-1068.
-
Kadoglou NP et al.:
Aggressive lipid-lowering is more effective
than moderate lipid-lowering treatment in
carotid plaque stabilization. J. Vasc.
Surg. 2010 Jan;51(1): 114-21.
-
Arai H. et al.: More
Intensive Lipid Lowering is Associated with
Regression of Coronary Atherosclerosis in
Diabetic Patients with Acute Coronary
Syndrome – Sub-Analysis of JAPAN-ACS Study.
Journal of Atherosclerosis and Thrombosis
Vol 17, No 10, pag. 1096.
-
Ferrières J.: Coronary
Atherosclerosis, Low-Density Lipoprotein
Cholesterol, and Statins: Statins and
Atherosclerotic Plaque Reduction. Am. J.
Cardiovasc. Drugs 2009;9 (2):109-115.
Medscape Today News.
-
Nissen SE et al.: Effect of
intensive compared with moderate
lipid-lowering therapy on progression of
coronary atherosclerosis: a randomized
controlled trial. JAMA 2004 Mar. 3; 291(9);
1071-1080.
Parole chiave: ATEROSCLEROSI – PLACCHE
– CORONARIE – ANGINA PECTORIS – INFARTO
MIOCARDICO – MORTE IMPROVVISA – STATINE
– COLESTEROLO - INFIAMMAZIONE
|