La coronarografia è un esame che
consiste nell’iniettare un mezzo di
contrasto (quindi radioopaco e
visualizzabile ai Raggi X) nelle
Coronarie (= Arterie che portano il
sangue al cuore e che si dipartono dal
bulbo aortico, cioè dalla base
dell’aorta), per poter visualizzare la
loro origine, il lume delle stesse ed
il loro decorso. Se sulla parete delle
coronarie stesse vi sono placche
aterosclerotiche che “sporgono”
all’interno del lume dell’arteria (come
“incrostazioni” sulle pareti di un tubo
che sporgono all’interno del tubo) esse
creano un restringimento (“stenosi”)
del lume della coronaria; scopo della
coronarografia è di valutare sia la
presenza o meno di tali stenosi che di
quantificarle in termini di percentuale
di restringimento del lume dell’arteria
(ad es. 40%, 50%, 70% e così via).
Per decenni la Coronarografia ha
costituito la base del trattamento dei
pazienti con cardiopatia ischemica
(Angina Pectoris, Infarto Miocardico,
Scompenso cardiaco su base ischemica,
Aritmie su base Ischemica);
sostanzialmente, si ricercava se ci
fossero stenosi uguali o superiori al
70%, cioè stenosi “critiche”; se
c’erano, si valutava se trattarle con
Angioplastica Coronarica e piazzamento
di Stent Coronarico, oppure con
intervento cardiochirurgico (By-pass
Coronarico) od infine, nei casi
ritenuti non idonei a nessuna delle due
procedure sopraddette, con terapia
farmacologica.
Da parecchi anni si è visto però che
tale atteggiamento è troppo
semplicistico, per vari motivi:
1) La Coronarografia è in realtà solo
una “Luminografia”, cioè la
visualizzazione del lume (=cavità
interna) dell’arteria coronarica; essa
ci dice solo se c’è qualcosa che sporge
all’interno del lume della Coronaria,
ma non ci dà informazioni sulla parete
della coronaria, che può essere anche
molto “malata” (= aterosclerotica”) pur
in assenza di stenosi (=restringimenti)
di rilievo del lume coronarico.
2) Sulla parete coronarica vi possono
essere placche aterosclerotiche sottili
o comunque determinati stenosi “non
rilevanti “ (inferiori al 50%) che
peraltro, per le loro caratteristiche
qualitative (placche “a rischio”)
possono costituire delle “bombe ad
orologeria”, nel senso che da un
momento all’altro possono
“instabilizzarsi” (cioè si possono
rompere-fissurare-erodere e si può
formare sulla lore superficie un
trombo, cioè un coagulo di sangue)
determinando un’ostruzione di vario
grado (anche completa) dell’arteria e
quindi l’improvvisa insorgenza di
Angina Pectoris od Infarto Miocardico
(che talora, purtroppo, si può
manifestare con Morte Improvvisa
Aritmica come prima ed inaspettata
manifestazione). La coronarografia non
è in grado di visualizzare le placche
più sottili, nè può dare una
caratterizzazione tissutale delle
placche e della malattia parietale del
vaso; può al massimo evidenziare
ulcerazioni, irregolarità parietali e
trombosi di placca, se presenti ed
evidenti.
3) Poichè la coronarografia è una
“luminografia” e poichè quando vi è una
placca da lungo tempo, si può avere un
“rimodellamento” del vaso, cioè in
corrispondenza della placca il vaso si
allarga per cui la placca è come se
fosse “fuori” dal lume arterioso
visualizzato dal mezzo di contrasto; in
tal modo sembra che non ci siano
placche di rilievo anche se in realtà
esse ci sono ma, non determinando
stenosi di rilievo del lume a causa del
rimodellamento di cui sopra, sembra che
non ci siano.
4) Qualsiasi placca, piccola o grande
che sia, può dar luogo ad
embolizzazione di frammenti di placca
(aterotrombosi-ateroembolismo) che,
diffondendosi nella periferia e nelle
diramazioni dell’arteria coronaria, può
occludere rami periferici più o meno
grandi della coronaria, determinando
ischemia miocardica nelle sue varie
manifestazioni (angina pectoris,
infarto miocardico, aritmie,
scompenso). Quindi, anche una placca
che alla coronarografia “non si vede” o
sembra di poco conto, può provocare
conseguenze cliniche importanti.
5) è stato dimostrato ormai da molti
anni che la maggior parte degli infarti
miocardici acuti si formano per
ostruzione trombotica acuta su placche
“non critiche”; quindi, anche una
placca che alla coronarografia viene
considerata di poco conto o comunque
non meritevole di essere “aggredita”
con angioplastica o “bypassata” con
intervento cardochirurgico, può dare
conseguenze cliniche importanti ed
imprevedibili
6) La sola valutazione “emodinamica” di
una placca (cioè dell’entità del
restringimento che provoca nel lume
arterioso e dell’ostacolo che determina
al flusso coronarico), ai fini del suo
trattamento o meno, è limitativa, in
quanto molte sindromi coronariche acute
anche gravi e talora fatali derivano da
un‘improvvisa “in- stabilizzazione”
(cioè infiammazione,
rottura-lacerazione-fissurazione di
placca e formazione di trombo
occludente) di placche non
necessariamente “emodinamicamente
critiche” e tali fenomeni sono
imprevedibili.
7) Esistono anche malattie dei “piccoli
vasi”, cioè di quella rete di arteriole
intramiocardiche (= intramuscolari) in
cui le coronarie principali
“epicardiche” si suddividono; sono
proprio queste arteriole (che la
coronarografia non è in grado di
visualizzare) che determinano la
maggior parte delle resistenze al
flusso coronarico intramiocardico e
che, se malate, possono determinare
quadri di cardiopatia ischemica pur in
presenza di coronarie epicardiche (cioè
quelle a diametro maggiore che possono
essere visualizzate dalla
coronarografia) apparentemente normali
o prive di patologia di rilievo.
8) Una coronaria apparentemente
“normale” può andare incontro
improvvisamente a spasmo, cioè ad una
contrazione della muscolatura della
parete che provoca un improvviso
restringimento del vaso e quindi una
crisi ischemica (che può sfociare anche
in infarto); l’insorgenza di tali
spasmi è imprevedibile ma può essere
favorita da scariche catecolaminiche
(stress emotivo intenso), assunzione di
sostanze tossiche, fumo, infiammazione
ed anche presenza di placche
aterosclerotiche nel sito in cui si
verifica lo spasmo.
Per tutti questi motivi, la
coronarografia, pur conservando un
ruolo di enorme importanza in
particolare per l’angioplastica
primaria nell’infarto miocardico acuto
e per la conferma o l’esclusione di
stenosi “critiche” delle arterie
coronarie che necessitino di terapia
interventistica (angioplastica o
by-pass coronarico) quando vi sia un
sospetto od una diagnosi clinica di
cardiopatia ischemica, non può essere
considerata come unico punto di
riferimento per fare diagnosi di
cardiopatia ischemica. In altre parole,
di fronte ad un paziente che si
sottopone a coronarografia per chiarire
l’origine di un dolore toracico,
l’assioma “la coronarografia è normale
o comunque non evidenzia stenosi di
rilievo, quindi il paziente non ha
angina pectoris” o comunque “non ha
cardiopatia ischemica” non ha alcuna
giustificazione scientifica. La
diagnosi di angina pectoris e comunque
di cardiopatia ischemica, nonostante i
progressi della tecnologia, rimane
essenzialmente una diagnosi clinica.
Per i motivi sopra esposti, vi possono
essere angina pectoris, infarto
miocardico ed in generale cardiopatia
ischemica anche in presenza di una
coronarografia apparentemente “normale”
o con lesioni giudicate di poco conto.
1/10/2011
Parole chiave: CORONAROGRAFIA – ARTERIE
CORONARIE – ATEROSCLEROSI – PLACCHE –
CARDIOPATIA ISCHEMICA – ANGINA
PECTORIS- INFARTO MIOCARDICO –
MICROCIRCOLO CORONARICO – PLACCA
INSTABILE – TROMBO – SPASMO CORONARICO
– STENOSI CORONARICA
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